MESSAGES FROM AFRICA by Massimiliano Palmetti MAX

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Una premessa, non sono uno scrittore. Una seconda premessa, copierò gli appunti che via via andrò segnando in questo mio percorso. Cercando di salvare le emozioni alla base.
Quindi scusate la forma:  questo è il mio racconto, ed è per Voi.
Marocco, Mauritania, Senegal stralci di appunti presi lungo la strada.
Ed è passato un mese dalla partenza: ricordo la mattina del 9 novembre
Lasciamo l’Italia per un po’..Massimo è accompagnato da Francesca e dalle rispettive famiglie.
Io stacco da subito con il mio mondo, credo mi aiuti ad entrare più velocemente nell’avventura che sta per cominciare. Parto per Malpensa con il mio inseparabile cugino che mi accompagna in questo saluto fino all’aeoporto. E qui siamo raggiunti dal compagno di mille battaglie, Srijan, che mi emoziona con un abbraccio inaspettato. Una sorpresa alla quale non posso lasciare il potere emotivo che meriterebbe. I giorni che hanno preceduto la mia partenza sono stati colorati da tante forti emozioni, troppe considerando il viaggio che mi appresto a compiere. Ora devo concentrarmi su questi nuovi passi. Ho bisogno della mia forza, quella che mi riconosco e quella che sono forse venuto a cercare. Ma loro sanno. Chi sono. Cosa provo per loro. Cosa e chi dovrò essere per un anno. Mi mancheranno. Li abbraccio entrambi, mi volto e vado oltre la barriera del check-in. Mi volto, stanno camminando e parlano tra loro. Penso Ciao amici, abbiate cura di Voi. Comincia così.
Aereo lowcost, gremito  Ancora in Italia mi è chiaro che saremo ospiti. Mi siedo al fianco di una giovane splendida coppia.Ruben e Ladina. Biondi entrambi, giovani e belli. Per l’energia che trasmettono, per la curiosità mista ad entusiasmo che traspare dagli sguardi, acerbi ma già ricchi di futuro. Lui giovane medico, “quasi” dice lei un po’ civetta. Lei veterinaria. Hanno sentito, in coda, del nostro viaggio e mi chiedono informazioni. Dopo aver visto una reale emozione nell’ascoltare le parole che descrivono questa nostra sfida, lascio loro il blog. Il domani è loro. Chissà che ci si incontri nuovamente in altri luoghi, in altro tempo.
Appena terminata la fase d’atterraggio, quella in cui si dice di non alzarsi e tutti sono già in piedi, per intenderci. Ecco in quel momento prendo contatto con quella parte del Marocco a cui occorre prestare molta attenzione. Mentre ci apprestiamo ad alzarci, con un magheggio di squadra, alcuni passeggeri fanno letteralmente fluttuare sulla mia testa il MIO bagaglio a mano. Con tanta destrezza che ho impiegato qualche istante a riconoscerlo. In un attimo lo riposizionano quattro file dietro le mie spalle. Fermati solo da una raffica decisa di miei “No” ”Eh no signori questo bagaglio è mio”.” A scusi, pensavamo fosse di una nostra amica” la risposta divertita, ed in fondo divertente, per quanto spudorata
Cambiamo qualche euro, compro chiavetta per internet che non  funzionerà mai, ma lo scopriremo in seguito. Taxi e Maison Rouge, uno splendido Riad  ultima comodità per un po’.
Marrakech è una città che ti avvolge, con i colori, con le spezie, con i sorrisi , le strette di mano. In tre giorni con Massimo e tutti gli altri ne vediamo proprio un bel po’.Il tuffo in  Marrakech è uno stargate affascinante. Ora so come comincia questa nuova vita, quello che ho vissuto come primo impatto non mi illude sulla semplicità, ma mi entusiasma perché riconosco segnali della strada che sto cercando.
11 novembre : incontriamo il resto del gruppo, quel gruppo con cui passeremo, forse, qualche mese di vita in giro per questo splendido e difficile continente.
Da subito qualcosa scricchiola nell’organizzazione, l’autista del truck ed il truck non si presentano all’aeroporto, luogo preposto al tanto agognato incontro. Ci vengono a prendere due autisti marocchini con due pulmini da 15 posti, parlano solo francese e arabo e quindi siamo Massimo ed io a dover chiedere e condividere le informazioni. Intanto il gruppo si forma e ci pare da subito bello giovane, forse un po’ troppo considerando le nostre aspettative.
Risultato: ci portano in un riad vicino a quello in cui siamo stati tre giorni, a saperlo prima li avremmo aspettati invece che inseguirli. La mia prima perplessità deriva dal fatto che nessuno sa da quante persone sia composto l’equipaggio. I due autisti marocchini chiedono a noi, noi a loro… insomma, storco il naso una prima volta. Arrivati al riad ci aspettiamo informazioni, ma nulla. Non sappiamo altro se non che il nostro autista, e responsabile organizzativo, non arriverà prima della mattina seguente. Il gruppo comincia a  rivolgersi a noi come fossimo due tourleader, funzione dalla quale scappiamo subito dopo cena. La stessa, organizzata da noi nei chioschi al centro della piazza della Medina. Il giorno dopo a colazione conosciamo Farron, il famoso autista. Ci dice che le leggi marocchine sono cambiate e non hanno consentito al truck, veicolo predisposto al trasporto turistico, di girare senza turisti a bordo. Quindi? Andiamo a prenderlo noi a 600 km di distanza. Comincia così il rapporto con la vita da Truck. Comunque divertente, se non fosse che comincio ad avvertire dolori lancinanti all’intestino. Pare che sia il Marocco. Una sorta di benvenuto che prende i più.
15 novembre
Andiamo a Ceuta, ultima roccaforte spagnola, attraversiamo a piedi per ritornare al di qua della frontiera col truck.
Ad un certo punto il Truck: eccolo. Enorme, semplice, un po’ rude sembra. Ci sembra tutto meno organizzato di quanto fosse lecito attendersi. A giudicare da quanti siamo,25. E lo spazio disponibile:” sarà un bel casino”, commentiamo. Tutti i bagagli sono buttati insieme nella stiva: primo risultato, all’arrivo scopro che mi si è rotta una bottiglia di repellente da abbigliamento per le zanzare . Grazie al cielo era in apposita sacca impermeabilizzata, quindi non ha creato danni. Dovrò ricomprare prodotto analogo, perché poi le zanzare avranno un potere che da noi non consideriamo. Noi non faremo profilassi contro la malaria, perché i medicinali ci farebbero peggio della malattia stessa. Stiamo via un anno non possiamo coprirci per tutto questo periodo. Quindi: prima cosa cercare di evitare di farsi mordere. Capiremo in seguito, impresa impossibile.
Partiamo e da subito sono disorientato, parlano tutti un inglese diverso .Diversi accenti, modi di dire, velocità. A bordo ci sono 14 nazionalità differenti. So che devo solo avere pazienza, in qualche tempo mi adatterò e riuscirò a seguirli più o meno perfettamente. Nel frattempo però mi sento un po’isolato, salvato dall’inglese ottimo di Massimo e dal fatto che, per indole, non ci metto molto a chiedere di ripetere, “e piano please! I’m Italian, you know?! “
Arriviamo a Smir-restinga ,cittadina dalla riminese memoria. Fuori stagione, deserta Arriviamo col buio, diverrà questa una costante. Fatichiamo a trovare il posto giusto per la tenda, sotto un dito d’erba il cemento. Non è grave, non pioverà, i picchetti non sono fondamentali. Fissiamo così la nostra prima tenda in Africa. L’intestino comincia a creare problemi, ed io comincio a diventare un velocista. Credo che, per alcuni giorni almeno, io sia stato l’essere più veloce di tutta l’Africa. E la prima notte, dopo una fitta da pugnalata tra stomaco ed intestino, mentre correvo verso il bagno sono stato fermato dagli irriducibili del falò, che mi invitano a raccontare la “mia storia d’amore”. Potete immaginare: in quelle condizioni mi chiedete la storia d’amore?! Li ignoro, penso. Ma non è carino, è il nostro primo campo. Spiego loro, ma non mi sento ancora in confidenza per entrare in certi dettagli. Mi fermo e racconto la mia storia con Cecilia. Da quel momento la storia più romantica tra tutte quelle del gruppo, dicono. Giorni dopo spiegherò le esatte condizioni del mio narrare, ed in cambio ho ricevuto uno dei complimenti più belli di sempre: “se anche leggessi il dizionario, suonerei romantico”. Bella frase, grazie. Ma il ringraziamento più grande lo dedico, pensando a quei giorni, a chi ha inventato il BIMIXIN. L’Africa ti prende la pancia, e non è solo questione emotiva.
30 novembre ore 5 e 30
Sveglia improvvisa per allarme tempesta. Siamo tra Casablanca ed il confine con la Mauritania, esattamente a metà strada. Sono  andato a letto alle 20 e 30, orari normali qui in campo, almeno per noi e sono uno dei regali più belli di questa nuova esperienza. Quindi ho in realtà dormito comunque più ore di quanto sia abituato a Milano. Milano, sembra così lontana ora. Smontata la tenda a tempo di record ci accomodiamo sul truck. Da notare che quando piove nel truck ci si bagna, le finestre sono di tessuto e plastica e non aderiscono alle pareti. Quando giorni prima l’ho fatto notare, mostrando la parte turbolenta del mio caratterino, mi hanno risposto: perché il truck è troppo nuovo. A voi il commento, chi mi conosce immagini la mia faccia. E quello che può essermi scappato, in italiano. Tornando alla tempesta: ci accomodiamo sul truck e ripenso al giorno prima. Ho preso consapevolezza che non è il viaggio che mi aspettavo. L’organizzazione mira al risparmio su tutto, ci danno un budget per la cena di un euro a persona. Si cucina sul fuoco ed abbiamo solo un fornello in caso di necessità. Siamo venticinque persone, ve lo immaginate quanto sia complicato cucinare qualcosa, non dico di buono, ma almeno di sensato. Due giorni prima ci hanno fatto accampare in una discarica. Non un posto sporco che definisco così per metafora, una vera e propria discarica marocchina. Ve la immaginate? Noi non ne abbiamo più bisogno, dato che vi abbiamo passato una notte. Ma la questione vera è: se per ogni campo ci fanno stare al di fuori delle città o dei centri abitati, come facciamo ad incontrare la gente del posto, come facciamo ad entrare in contatto con la loro cultura? E non siamo qui per imparare a fare campeggio sui sassi o nelle discariche, siamo in Africa per incontrare, per vedere e conoscere. Per poi poter condividere.
Sono ormai le 7 am e la tempesta ci danza intorno coinvolgendoci ogni tanto, come  un’ animatrice distratta. Il truck è nel buio totale tra dune di sabbia a ridosso di una scogliera. Questo è uno dei tre campi che ricorderò con emozione, per la bellezza del posto e del cielo .Il cielo, incredibile tendaggio che ti avvolge con luci che finalmente possono essere definite stelle.
I lampi illuminano l’orizzonte a segmenti scelti a caso. Uno spettacolo suggestivo. Aspettiamo l’alba. E si annuncia con questo sottofondo di percussioni basse, come a richiamare l’attenzione. Più affascinate che inquietante. Arrivata l’alba: partiamo, giusto in tempo. La danzatrice sembra essersi accorta di noi e ci segue per un po’. La lasciamo per andare incontro al Sole. Ed è sufficiente per sorridere contento.
Della Mauritania non posso dire molto, l’abbiamo attraversata come il vento ed abbiamo lasciato il gruppo dopo tre giorni. Eravamo vicini al confine del Senegal, ci sembrava assurdo fare la strada che attualmente sta percorrendo il truck, la Strada della Speranza la chiamano in Africa. Ricorderò il campo sulla spiaggia, un posto meraviglioso scoperto per sbaglio, con postazione militare. Quindi anche relativamente sicuri. Il primo dicembre abbiamo fatto il bagno, più per lavarci che altro. La sera mi hanno invitato a giocare a poker, indovinate chi ha vinto? E sopra di noi uno dei cieli più belli che abbia mai visto. Nel buio, davanti all’oceano. Bello, lo porterò con me.
La Mauritania è un paese così povero che non ci si deve stupire che alcuni non guardino a noi con simpatia, altri invece sono i soliti calorosi esseri umani. Non mi è piaciuta quella tensione, così come le pulci dell’ultimo albergo. Tia ed altri due del gruppo sono stati letteralmente rovinati, Sean avrà avuto centinaia di morsi. Noi siamo stati salvati da un repellente che ho spruzzato la prima sera sui materassi, un po’ per istinto, un po’ per noia. L’ho trovato nella sala al primo piano ed ho pensato potesse servire. Non che non ci abbiano morso, ma due o tre non fanno così male. Della Mauritania ricorderò i mercati del pesce con queste barche coloratissime, gli asini per strada. Ne ho visti tre letteralmente litigare, sembrava si prendessero a male parole, non si sono di fatto toccati. E la povertà delle persone per strada, nelle città, nella capitale. Non è giusto che ci siano persone costrette a questa vita. Questo è l’unico pensiero che so non andrà via.
Tra deserto spagnolo e Mauritania ci sono i famosi otto km di nessuno, una terra che non appartiene a nessun paese. E ’uno scenario alla Madmax, macchine bruciate, strade inesistenti. Si segue la traccia di quelle passate prima. Beh noi seguivamo un gps, più sicuro. Ci hanno seguito una serie di macchine che suonando ci invitavano a seguirli, chissà dove. Chissà perché. Inquietante ma unico e pertanto sono felice di esserci passato. Incolume.
7 dicembre arrivo in Senegal.
Sveglia alle sei del mattino, colazione sul tetto dell’albergo delle pulci. Alle sette arriva il taxi che in tre ore ci porterà in Senegal. Massimo, Tia , suo marito Juan ed il sottoscritto. C’è un po’ di tensione, lasciare il truck e muoversi da soli in quella terra mi emoziona, e non sono belle emozioni. In realtà tutto fila liscio. Ad uno dei tanti posti di blocco Massimo mi fa notare una macchina con un adesivo che inneggia a Bin Laden sul lunotto, facciamo in modo che i nostri due amici americani non lo vedano. L’arrivo in frontiera è complicato, ci saltano addosso in mille e tutti a chiedere soldi per qualcosa. Polizia compresa. Una volta pagate le “tasse impreviste””, ci fanno avvicinare alle piroghe. Una delle quali ci porterà sull’altra sponda del fiume Senegal. Mi sono sentito come fossi sul ring con Mike Tyson, colpi a destra a sinistra e nessuna capacità di reagire. Ma qui è così, poi ti fa meno effetto avere tutta questa gente intorno che chiede, pretende. Parla e promette. Non sai di chi fidarti, ma se tieni il giusto controllo allora poi riesci a dominare la situazione di caos puro .E a riconoscere. Il viaggio in furgone, il loro mezzo di trasporto: è un ricordo che certo rimarrà indelebile. Così come la pecora legata ai nostri bagagli. Da ripetere il meno possibile, ma viaggio che sono felice di aver fatto. Probabilmente il peggior pulmino di tutto il Senegal. Il resto è storia recente, lasciate che il tempo mi aiuti ad organizzare queste nuove immagini di un paese da subito amico e bello. In tutto, in tutti.
In tutto questo la colonna sonora che dall’I.pod mi porta il pensiero dei miei cari, dei miei amori. Passati, presenti e futuri. Ma almeno questo concedetemi di tenerlo con me.
Per il momento è tutto, a presto amici miei.
10 dicembre ... ascolta ... http://www.youtube.com/watch?v=vZwW4BySfXQ