Insieme a Jean-Pierre abbiamo fatto forse una cinquantina di chilometri in tre giorni; quasi di corsa. Lo conoscono tutti, nei piccoli villaggi che attraversiamo. Lui, però, non saluta tutti: sembra molto selettivo. MI dà un po’ fastidio. Non risponde ai bambini e non saluta quasi mai le donne. Ovviamente, mentre trotto al suo fianco, lo qualifico all’istante come un miserabile maschilista. D’altra parte, viene da una cultura di spaventosa sottomissione delle donne. Nei villaggi, gli uomini stanno sotto gli alberi a far niente e le donne fuori nel solleone a fare i lavori duri: raccolgono paglia o legna da ardere; trasportano l’acqua sulla testa in grandi recipienti; si spaccano la schiena per pestare il miglio nei mortai, stanno appresso a capre e galline. E intanto, curano e crescono i bambini. Jean-Pierre viene da questi costumi; non c’è da sorprendersi – mi dico – per il suo atteggiamento verso le donne.
Però, forse, c’è anche qualcos’altro da capire: potrebbe essere tutto un po’ più complicato. Una sera, dopo avermi chiesto se ho mogli o figli (il singolare non è contemplato) Jean-Pierre mi spiega perché non può avere una fidanzata. Non importa se s’innamori o meno: è semplicemente troppo povero per pagare alla famiglia della sposa il prezzo della dote. Qui funziona così: si individua una ragazza e si offre al padre un congruo valore per la dote. Il padre valuta l’offerta e, se la trova conveniente, acconsente al matrimonio. Qualche volta, la ragazza viene informata: non è un elemento essenziale della procedura. Tradizionalmente, una dote ragionevole consisteva in tre o quattro capre (valore: circa 30.000 cfa, o 45 euro, l’una), più una quantità di miglio equivalente alla metà del fabbisogno annuale per la famiglia della sposa, più un otre di birra di miglio chiara e uno di birra di miglio rossa. Oltre a tutto questo, la famiglia dello sposo doveva sobbarcarsi i costi per la grande festa di matrimonio, che dura due giorni: carne e birra per tutti gli invitati, che in pratica sono tutti gli abitanti di due o tre villaggetti del circondario. Un grosso impegno finanziario, per una famiglia normale.
Negli ultimi anni, poi, mi spiega Jean-Pierre, le cose sono drasticamente peggiorate. I”ricchi”, identificati nei proprietari degli alberghi o ristoranti, nei possessori di un mezzo di trasporto a motore e – odiatissimi, non so perché, da Jean-Pierre – nei padroni delle piccole mandrie di vacche che abbiamo incontrato; i ricchi, dicevo, hanno cominciato a offrire per dote delle somme folli. Fino a due o tre vacche per una moglie (l’equivalente di 3-400.000 cfa); e poi varie casse di birra ‘vera’ e diavolerie come delle piccole radio a transistor, cinesi, naturalmente. L’effetto di questa manovra inflattiva è moltiplicato dal fatto che, secondo la religione animista dei kapsiki, non c’è alcun limite al numero di mogli che si possono avere. Tutto dipende esclusivamente dall’ammontare delle doti che ci si può permettere di pagare. Risultato: per un ragazzo povero come Jean-Pierre, e per decine di altri come lui, sta diventando impossibile trovare una moglie e formare una famiglia. Quindi, se non trova un modo per guadagnare dei soldi, con l’impiego nell’esercito o qualcos’altro, Jean-Pierre rischia anche il celibato forzato.
È una disgrazia in sé e per sé. Esagerata. Ed è anche uno stigma sociale. Il punto è che ‘tutti’ sanno che sei troppo povero per sposarti; i ragazzi ricchi non ti frequentano; i padri di figlie femmine ti vedono come il fumo negli occhi; e le ragazze, mediamente, ti evitano o ridacchiano fra loro, quando passi. Si capisce che è dura. Poi uno diventa smargiasso e irritante. E non chiede niente e pretende di sapere tutto. E ha un culto ridicolo della forza fisica. E vuole andare nei marines. E ha un atteggiamento maschilista. E mi fa così tanta pena.
Nessun commento:
Posta un commento