Jean-Pierre accompagna i turisti che vogliono camminare sui monti Kapsiki, al confine fra Camerun e Nigeria. Siamo nell’estremo nord del Camerun, lontanissimi dall’oceano. Più che di monti, si tratta di un altopiano sui mille metri, attraversato da alcuni valloni profondi, scavati dai fiumi che scorrono nella stagione delle piogge, e punteggiato da scogli di basalto che sbucano dal terreno e si alzano per cento o centocinquanta metri, dominando la pianura. Villaggi piccolissimi, sparsi nel piano a casaccio; cinque o dieci famiglie, ciascuna con il proprio recinto di pietra o mattoni di fango che racchiude capanne, magazzino-granaio e riparo per le capre, i maiali o gli asini. Ogni recinto è un po’ distante dagli altri; non ci sono vie, né piazze: non ci sono spazi pubblici, salvo il pozzo. In fondo al piccolo avvallamento attorno al quale il villaggio cresce, infatti, c’è un pozzo, talvolta con una pompa per sollevare l’acqua. È qui che le donne e le ragazze si trovano la mattina presto. Prendono l’acqua per la giornata.
Qui piove da maggio a ottobre, con le precipitazioni più forti in agosto. Da dicembre a marzo soffia l’harmattan dal Sahara che asciuga tutto in un continuo turbinio di polvere. È la fine di febbraio e tutto è tremendamente arido, i torrenti sono in secca, i campi rinsecchiti o bruciati, molti alberi hanno perso le foglie. Vacche e capre vagano nella calura tra baobab, acacie e tamarindi per trovare un po’ d’erba, ma mangiano soprattutto la paglia e le stoppie rimaste nei campi abbandonati. Da maggio ricomincerà la coltivazione: soprattutto miglio, arachidi, piselli e fagiolini. Non cresce altro; nemmeno le cipolle, che sono coltivate nella piana di Maroua e qui costano dieci volte più che in città.
Jean-Pierre ha ventun anni e lavora con Nicolas, il tizio che mi ha avvicinato mentre ancora scendevo dal piccolo autobus che mi ha portato a Maroua. Nicolas trova i turisti, vende loro un programma di viaggio, contatta gli autisti e le guide locali per chi vuole fare trekking; un agente di viaggio, insomma. Probabilmente guadagna abbastanza bene. Jean-Pierre, invece, sta qui a Rhumsiki, dov’è nato. Incontra i turisti all’hotel, dove Nicolas li manda e li porta in giro. Dice di avere anche dei clienti propri e di aiutare Nicolas “solo perché è un amico”, ma non credo che sia vero. Fa il gradasso. Vuol far credere più cose di quelle che sono alla sua portata. È troppo giovane per farmi arrabbiare, ma risulta irritante. Non ha nessuna idea di cosa voglia dire fare trekking con dei turisti. Cammina fortissimo, sia in pianura sia in salita; per le soste, non fa alcuna differenza fra posti belli o panoramici e schifezze; non sa dare nessuna indicazione sui tempi di percorrenza delle varie tappe; dice che si occuperà del cibo, ma per pranzo c’è solo una scatola di sardine, per cena quattro etti di pasta (o riso) con un sugo di pomodoro e per colazione del pane in cassetta, raffermo, con del tè.
Non me la prendo perché capisco presto che per lui, questo, significa mangiare tanto. E poi Jean-Pierre cerca di darsi da fare. Il suo sugo per la pasta o il riso (la seconda sera riesce anche a rimediare, non so dove, quattro bocconi di carne da spezzatino) è molto buono. Mi dice anche che non ha mai incontrato un turista che cammini veloce quanto me e che ci sono persone che ci mettono più del doppio a fare lo stesso percorso: questo lo rende molto più simpatico…
Jean-Pierre ha un fisico bestiale (soprattutto per essere uno che, sostanzialmente, non mangia mai) ed è molto povero. Anche per gli standard di Rhumsiki, voglio dire. Molto povero, ma non poverissimo: ha un cellulare e parla qualcos’altro che la lingua kapsiki. I contadini e le contadine che incontriamo nei villaggi sono ancora, immensamente, più poveri: sono malnutriti, magrissimi con le pance gonfie, specialmente i bambini. La mortalità infantile è, ufficialmente, al 20% entro i cinque anni: a occhio, il dato suona sottostimato. Jean-Pierre è il terzo di sette figli (sei fratelli e una sorella); suo padre fa l’agricoltore, sua madre è morta una dozzina d’anni fa, per un ‘male al ventre’, dice. È stata operata, dopo la morte, dal fabbro del villaggio, che come al solito fa anche il chirurgo-dentista. Una specie di autopsia. Se non si fa così – mi spiega – il male può colpire altri membri della famiglia. Annuisco. Jean-Pierre è sorpreso che io non conosca cose tanto semplici Dopo che la moglie è morta, il padre ha dovuto vendere tutte le capre che aveva per sfamare i figli: così sono diventati poverissimi. .... TO BE CONTINUED
Bel reportage, toccante e significativo e concordo con Jean Pierre: anch'io non ho più incontrato qualcuno che camminasse veloce quanto te! Spero tutto bene. Prossima tappa?
RispondiEliminaBarbara